Da ricordare altra esperienza di pittura, meglio di colore, che poteva essere capace di distogliermi definitivamente dall’arte pittorica.
Fu in una visita oculistica previa al lavoro. Mi venne riscontrato una sorta di daltonismo per il quale, in particolare, non distinguevo sfumature di rosso in un campo di sfumature del verde. L’oculista mi domandava cosa leggevo nei dischi di Ishihara e la mia inquietudine diventava quasi nervosismo se mi presentava due dischi ove non vedevo nè lettere nè numeri nè disegno alcuno.
Nessuna preoccupazione, fu la conclusione. Da tale disturbo è affetto circa il 7 per cento della popolazione maschile ( solo maschile); quando la superficie di un oggetto è piccola i coni e i bastoncelli deficitari in determinate lunghezze d’onda non ci fanno distinguere alcuni colori e le diverse sfumature si confondono.
Cinquanta anni dopo mi ritrovavo a sottopormi allo stesso test confermativo del deficit; ero andato in un negozio d’ottica ove, secondo quanto avevo appreso su internet, si vendevano lenti per daltonici; le indosso per una mezz’ora di prova su strada: i segnali di stop e di divieto di accesso mi appaiono rosso brillante anche da lontano; il verde degli alberi e delle aiuole, per contro, mi giunge come privo di sole, triste.
Lenti per daltonici!
Tali lenti vengono fabbricate solo in Ungheria mi spiega l’oculista; compresa la montatura costano 800 euro. Decido di rivolgermi altrove per saperne di più, senza risultato alcuno. Comunque ho deciso di non comprare quelle lenti filtranti e di continuare a vedere le sfumature nelle lunghezze d’onda e nella peculiare bellezza cui i miei organi sensori e mentali mi hanno abituato da 7 decenni; la mia tavolozza continua pertanto a comporsi secondo la consueta posizione e mescolanza dei colori; al diavolo i filtri ungheresi!