Capitali e manodopera

Capitali globalizzati e mano d’opera disponibile

Fatti e programmi

Sembra che la vicenda dell’acciaieria di Piombino abbia finalmente trovato uno sbocco; a fine anno gli ammortizzatori sociali per circa due mila lavoratori sarebbero venuti a mancare, dopo anni dallo stop degli impianti.

Un imprenditore indiano si è dichiarato disposto a comprare lo stabilimento e ad investire nella produzione, principalmente, laminati di acciaio. La materia prima giungerà a breve dall’India e la laminazione si riavvierà e si riaprirà la vendita sui mercati internazionali.

La mano d’opera dovrebbe venire riassunta con accordi approvati dalle tre sigle sindacali e dal governo regionale della Toscana. Gli accordi prevedono inoltre investimenti a tutela dell’ambiente. Tutto bene, insomma, quel che finisce bene, dopo una sequela infruttuosa di pseudo investitori da Algeria o altrove.

Per l’ILVA di Taranto, la mega struttura europea di produzione di acciaio e derivati, si profilano nuove trattative serrate per avere assicurazioni sui metodi e sui tempi di intervento per la ristrutturazione degli impianti, per la bonifica del territorio, per la riconversione delle fonti energetiche ed altro ancora.

Sono in gioco circa 20 mila posti di lavoro fra mano d’opera e indotto. C’è anche chi ha prospettato per quell’area investimenti mirati a riconvertirla ad area naturale, o verde o turistica o museale; niente più acciaio, se ne può fare a meno; mano d’opera da reimpiegare in altre attività…

Due decenni addietro l’area siderurgica di Sesto San Giovanni in provincia di Milano, le AFL Falk venivano chiuse senza che vi fossero alternative in contemporanea di produzione o di destinazione dei territori, previa bonifica. Ad oggi gli interventi sono stati parziali ed insufficienti.

Si potrebbe continuare con gli esempi, vedi l’area di Bagnoli in quel di Napoli, che dopo la chiusura degli impianti attende una efficace e complessa bonifica con destinazione urbanistica a civile insediamento.

capitani coraggiosi

Quel che fa riflettere non sono le vicende imprenditoriali connesse alla proprietà degli impianti, che nei diversi casi hanno portato al ridimensionamento o alla loro chiusura , quanto piuttosto, la necessità che per superare le difficoltà si abbia sempre bisogno di capitani coraggiosi che apportino capitali e investano.

La mano d’opera è sempre a disposizione di qualsivoglia volenteroso con capitali freschi. L’operaio aspetta decisioni di altri per continuare a lavorare nella produzione e non ha voce in capitolo, salvo nella pretesa per lo più disattesa che l’intera mano d’opera venga riassunta.

E’ di tutta evidenza che i nuovi padroni hanno diritto di pensarla diversamente, perseguendo l’ovvio obiettivo del profitto, al cui conseguimento conflittua l’indice di produttività, in sostanza il costo della mano d’opera e dell’energia per unità di prodotto.

maestranze

Caratteristica delle maestranze, per lo più, è quella di avere capacità di produzione ma non di progettazione autonoma, di ricerca di nuovi mercati e di messa in comune di danari per investimenti.

Il know how delle maestranze non può da solo portare a risultati d’impresa, perchè, precisamente, i lavoratori non sono imprenditori ma solamente collaboratori ed esecutori di progetti altrui. Managers e capitalisti che hanno bisogno delle maestranze come queste hanno bisogno dei capi danarosi.

Una sola persona, che abbisogna di migliaia di operai per fabbricare qualsiasi manufatto, ha invece i capitali che servono all’azienda, capitali accumulati grazie ad altre maestranze o a investimenti speculativi di borsa o nelle commodities.

L’accumulazione estrema di capitali e la disponibilità quasi infinita di mano d’opera, in attesa di essere utilizzata, sia pure a buon mercato, contraddistinguono lo iato che si è verificato negli ultimi decenni, fra dirigenti d’azienda, managers, grandi azionisti e maestranze o mano d’opera che dir si voglia.

I più, l’immensa maggioranza ad auspicare interventi di capitali da qualsiasi parte del mondo vengano o a qualsiasi soggetto appartengano. Globalizzazione dei capitali che produce sostanziale passività della mano d’opera, sempre in attesa di essere utilizzata.

In tale contesto è auspicabile un nuovo modello di organizzazione delle grandi produzioni, per contrastare ricorrenti crisi dei settori industriali, abbandono di fabbriche e impianti.

possibili modelli di organizzazione

Modelli cooperativistici hanno riguardato finora solo realtà medio-piccole; difficile da realizzare in complessi industriali di portata internazionale.

Per ovviare ai gravi ricorrenti inconvenienti dei capitani coraggiosi forse sarebbe utile pensare ad un coinvolgimento nell’azionariato delle maestranze, di ogni livello; l’attenzione alla gestione sarebbe costante e forse si troverebbero all’interno delle aziende stesse i necessari rincalzi o sostituzioni di dirigenti e managers.

Insomma , non una mano d’opera semplicemente in attesa dei padroni della vigna per potere lavorare , ma coinvolta negli scopi e nei risultati dell’azienda medesima, attraverso partecipazioni di capitali crescenti nella misura che l’esperienza, l’anzianità e la responsabilità siano accresciute.

Questo valore, valutabile in termini di capitale, potrebbe essere negoziabile da parte delle maestranze, sia all’interno che all’esterno delle realtà produttive, ponendo ovviamente dei limiti.

Una nuova forma di organizzazione aziendale potrebbe apportare efficienza e maggiore stabilità alle aziende stesse, attraverso strumenti decisionali ponderati , discussi e accettati. Vale a dire, il benessere dell’azienda che porta benessere a maestranze e investitori.Tutto da sperimentare, in una veduta cooperativistica rinnovata e promozionale della produzione e del lavoro.

Globalizzazione delle imprese in un nuovo intreccio di interessi territoriali ove la mano d’opera non attende ma investe anch’essa ed incentiva progetti e investimenti comuni.

31 luglio 2018

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