Sovranità nazionale, democrazia, globalizzazione

Sovranità nazionale, democrazia, globalizzazione, è davvero inconciliabile questo trilemma? L’opzione europea

Prendo lo spunto da un articolo de El Pais di giovedi 20 febbraio nel quale si commenta l’niziativa del Governo di Pedro Sanchez di introdurre due nuove imposte, le cd tassa Google e tassa Tobin.

L’articolista suggerisce che il Governo farebbe bene a rifuggire da qualsiasi tentazione sovranista e a sottomettere queste riforme, per avere successo, ad un accordo, quanto meno a livello europeo.

Giacchè, come l’economista turco Dani Rodrick ha analizzato, un dilemma con tre opzioni non trova possibili soluzioni ideali: in questo caso una imposta per le nuove imprese del digitale tecnologico e nel settore finanziario funzionerà meglio se è applicata sull’accordo di tutti i Paesi.

Il trilemma, nella sua accezione più ampia, relaziona l’articolista, ci pone davanti alla alternativa di scegliere di volta in volta fra sovranità nazionale, democrazia e globalizzazione, nella consapevolezza che non si possono mantenere intangibili nello stesso tempo le tre categorie.

Così, in un mondo di sovranità nazionale e di globalizzazione è la democrazia che scema o soffre, perchè il gioco economico mondiale diventa elitarista e non ha interesse a ciò che accomuna. Se si sceglie sovranità e democrazia, ponendo barriere troppo alte alla globalizzazione, l’integrazione economica si allontanerà, con fuga di capitale, lavoro innovazione e consumo.

In altre parole, la sovranità nazionale dovrà scemare per dare efficacia a una misura che si vuole globalizzata, e che risponda all’esigenza che detta imposta la paghino proprio quelli che la debbono pagare.

Forse l’unica combinazione possibile e più accettabile sarebbe quella di un progresso mondiale confrontabile; una forma di globalizzazione democratica che poco per volta smonta gli Stati sostituendo le singole politiche con altre di ordine planetario.

Un governo unico mondiale?!

Contenuti e strategie di soluzioni al trilemma

Nel frattempo, forse, appare utile concentrasi sui contenuti delle tre categorie per osservare come diverse strategie potrebbero mantenere il trilemma nella configurazione di un triangolo equilatero, in alcune circostanze ampliando la superficie del triangolo stesso.

Se si parla di democrazia, si dà ormai per scontato e acquisito l’esercizio universale del voto, l’uguaglianza di fronte alle leggi, il potere suddiviso rappresentato e diffuso.

Quando si argomenta su sovranità nazionale si includono diversi valori e contenuti come l’integrità e la difesa del territorio, un governo centrale, (comunque si articolino le altre forme a livelli territoriali differenti), una propria moneta, un proprio sistema fiscale, un unico sistema di riferimento per quanto attiene l’adempimento dei doveri e l’esercizio dei diritti da parte dei cittadini.

Se affrontiamo l’argomento globalizzazione, registriamo sistemi intrecciati di conoscenze, investimenti, produzione e di commercio dei beni, un sistema di finanze interconnesse e ultranazionali, istituzioni di riferimento a rilevanza mondiale.

L’opzione Unione Europea

Consideriamo ora la circostanza storica della U.E

E’ provato che l’ impronta politica di ogni Stato definisce il quantum della sua democrazia, di apertura alla competizione globalizzata nei diversi campi, di rilevanza della propria identità.

L’ adesione ad una unione di Stati dovrebbe avere come presupposto che i sistemi giuridici, di rappresentanza politica , di governances e di democrazia siano raffrontabili; essa implica per definizione stessa la cessione di parte di sovranità, la contropartita è che quella unione operi come entità coesa, agevolatrice e cooperativa, più efficiente e capace di apportare benessere e sviluppo.

Auspicabilmente, gli ambiti di democrazia dovrebbero ampliarsi, come pure la competizione globale dovrebbe risultare più incisiva e beneficiosa per tutti gli Stati aderenti.

Oltre la teoria del trilemma

Ma, a ben guardare, una forte sovranità nazionale può risultare anche rafforzata dalla suddetta adesione , se nel concetto di sovranità inseriamo altri contenuti, non tradizionali, non per questo arbitrari.

Uno Stato che si dichiara fortemente identitario ed apprezzato perchè esemplare appronta , al suo interno, strumenti esitosi di contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, alla prevalenza delle élites, all’insicurezza e precarietà, all’evasione fiscale, alla depredazione del territorio e delle risorse produttive; in sostanza contrasta esitosamente l’impunità e assicura già accettabili livelli di benessere e servizi propiziatori di sviluppo sociale ed economico.

Ricorrendo tali caratteristiche l’adesione ad una Unione rafforzerà la sovranità di quello Stato: oltre a competere autorevolmente con gli altri Stati esso sarà capace di indirizzare l’attività dell’Unione, principalmente verso il proprio interesse, quindi verso l’interesse degli altri Stati aderenti.

E’ sommamente importante che di fronte ad uno Stato forte vi sia una società forte, capace di pretendere e di controllare; l’adesione ad una Unione sarà allora forierà di maggiore benessere nell’ampliata globalizzazione e nel porre regole di governances democratiche e favorevoli a tutta l’Unione, ancorchè principalmente alla popolazione del proprio territorio.

L’esempio Germania

Basta indicare la Germania quale esempio di Stato che all’interno dell’Unione europea ha preservato e difeso il modello del triangolo equilatero, la cui superficie è maggiore di quella iniziale; oggi è indiscussa la leadership economica e politica della Germania che, tuttavia, anche al suo interno ha problemi di contenimento delle spinte nazionalistiche.

Si potrebbe obiettare: lo Stato che combatte efficacemente la criminalità, che garantisce la sicurezza dei cittadini, che fa rispettare le leggi, è necessariamente uno Stato meno democratico, dovendo appoggiarsi su organismi poderosi e inflessibili.

Ma è proprio il contrario; l’insicurezza, le disuguaglianze, le precarietà nella vita individuale e nel lavoro evidenziano la languidezza di uno Stato che conduce alla insignificanza del sistema di democrazia e alla necessità di un regime dispostico.

E’ dimostrato, per ciò stesso, che tutte e tre le categorie dell’area del triangolo possano beneficiarsi e crescere contemporaneamente.

Passaggio stretto dell’ Unione Europea

Se quell’Unione, viceversa, non dovesse operare al meglio potrebbe tornare il richiamo della sovranità nazionale, con il pericolo che nel tempo l’adesione diventi insopportable, detestata dai cittadini dei singoli Stati e che si voglia uscirne.

E’ anche da considerare che uno Stato debole, comunque lamenterà l’insignificanza o la dannosità dell’adesione e vorrà reclamare la parte di sovranità ceduta all’Unione, ma è destinato ad un ancor più veloce declino verso una sorta di apatia e assenza istituzionale, nonostante gli ambiziosi proclami.

La Brexit, nonostante le gravi incongruenze, le incrociate falsità, è un segnale di allarme da non trascurare affatto e ci fa riflettere anche sulla qualità della governance del Regno Unito negli ultimi anni.

Il paradosso è che uno Stato debole e corrotto reclama un recupero di sovranità nazionale, ceduta in parte ma di fatto già malamente esercitata sul territorio;

l’occasione propizia di reclamarla sono gli scarsi risultati utili conseguenti all’adesione all’unione, laddove è proprio la scarsezza dei risultati all’interno del proprio territorio che fa di quello Stato un membro poco affidabile, non ascoltato, all’interno dell’Unione.

Non è da trascurare, tuttavia, l’incidenza negativa sulla coesione di una Unione, di attitudini che fanno prevalere esclusivamente l’interesse nazionale.

Orbene, è di questi giorni il disastroso risultato della riunione dei capi di Governo dell’Unione sull’entità del bilancio e della ripartizione delle risorse nelle diverse aree di intervento.

E’ bene ricordare che l’apporto finanziario dei singoli Stati rapportato al PIL, si è andato attestando attorno ad un modesto 1,20 %, ove la PAC ha assorbito circa due terzi di tale disponibilità. Da alcuni anni la PAC si è modificata disaccopiando
i contributi agricoli da specifiche produzioni e/o limitandone le quote

A fronte di progetti ambiziosi su investimenti strutturali, ricerca scientifica, applicazioni tecnologiche digitali, contrasto al cambiamento climatico, benessere dei cittadini, cybersicurezza e difesa territoriale l’Unione non trova la coesione nell’approvare bilanci altrettanto ambiziosi e si arrovella in discussioni defatiganti sopra decimali al ribasso, l’1,07 di apporto, rivedendo semmai la PAC per trovare le risorse per i nuovi progetti.

Sarebbero i paesi cd euroscettici, sul fronte opposto, quelli che spingono al ribasso, guarda caso con PIL in crescita ma con popolazione pari all’8% dell’intera Unione.

I paesi maggiori fruitori dei contributi agricoli si dissociano e lasciano il campo.

Sono segnali di un egoismo crescente od anche di frustrazione di fronte alla supposta inadeguatezza dell’Unione nel contrastare le crisi sistemiche a fronte di regole troppo stringenti per gli Stati?

L’uscita del Regno Unito, contributore importante dell’Unione, ha ridotto di circa 75 miliardi di euro l’entità degli apporti, per i prossimi 7 anni nel bilancio europeo. Ma che fa l’Unione? Anzichè serrare le fila e proporre ai singoli Stati un poderoso rimpiazzo, discute di quanto ridurre la contribuzione percentuale.

La malinconica conclusione per un europeista convinto è che il progetto di una Unione Politica degli Stati d’Europa è rimandato a tempi nuovi, ove permangano le aspettative delle popolazioni e ove si ritrovino leaderships convinte.

Intanto la globalizzazione avanza con le con poche regole che furono poste; per tali presupposti trova conferma l’analisi di Dani Rodrik e sono soprattutto gli Stati deboli (non solo economicamente) quelli che ne soffrono.

Le loro classi politiche assistono ad un progressivo aumento delle disuguaglianze interne e ad una crescente precarizzazione del lavoro, in sostanza ad una dequalificazione del sistema democratico; la richiesta di una meglio non definita sovranità nazionale trova facili consensi e spinte a lasciarsi alle spalle esperienze di governances associative.

La conseguente dissoluzione dell’Unione Europea, nel caso di ulteriori exit, porterebbe per le considerazioni esposte ad un progressiva insignificanza dei singoli Stati europei nello scacchiere mondiale, anche per la stessa Germania.

Un’Europa forte e coesa

L’Unione ha una economia forte e diffusa ma ha bisogno di essere coesa ed autorevole nell’affrontare le sfide e le imposizioni che gli Stati Uniti e la Cina (due esempi di super potenze super nazionaliste) inducono nel campo del commercio, della produzione di beni, delle transazioni finanziarie, della governance democratica. Se coesa e forte l’Unione saprà meglio affrontare anche il problema del cambiamento climatico indotto che altrove, politici sovranisti si ostinano a sottovalutare.

Parimenti sarà in grado di contrastare nefaste nuove iniziative di guerre apportate da secolari conflittualità nazionalistiche o da interessi sulle fonti energetiche.

Sarà anche in grado di trovare una comune politica di fronte al vasto e imponente fenomeno migratorio di popolazioni, offrendo migliore e regolata accoglienza per coloro che in questa limitata porzione di territorio mondiale vedono una rinnovata speranza di eccettabile benessere e di libertà.

Le spinte verso ulteriori exit saranno rese insignificanti e verranno quindi abbandonati i proclami nazionalistici.

Ci vogliamo, invece, rassegnare a che la nostra Europa , ove si sono contati finora 75 straordinari anni di pacifica convivenza, collassi su se stessa e che ad ogni singolo Stato consegua una sua modesta ricollocazione quale territorio neocolonizzato nell’imponente nuovo ordine mondiale?

Febbraio 2020

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